Commedia |
cilestro Purg. 26.6 (:). |
Dal lat.
caeleste(m) con
r “parassita” (cfr. Rohlfs § 333) e cambio di classe (e cfr. LEI, s.v.
caelestis 9.601.23). La prima apparizione dell'agg. si trova in un
Doc. fior., 1262-75, ma è già att. come sost. in
Ruggeri Apugliese; in gen. si registra una diffusione in testi perlopiù di carattere letterario (cfr. TLIO s.v.
celeste) e l'assenza nelle fonti specificamente tecnico-artistiche coeve o di poco successive (per es. è assente nel
Libro dell'arte di Cennino Cennini). Dante usa
cilestro (diverso da
celeste [vd.], che vale sempre ‘celestiale’) per indicare il colore del cielo in un momento ben preciso, cioè prima che irradiato dal sole sul far del tramonto viri verso il bianco. I commentatori chiosano con rif. al colore del cielo senza ulteriori indicazioni cromatiche. Non è facile individuare il rif. preciso, dato che per i cromonimi che fanno capo al 'blu' si riscontrano molte incertezze nel panorama medievale, sia a livello tecnico sia a livello letterario (cfr. Brigandì,
Azzurro, cilestro e zaffiro e Fontani,
Il glossario dei colori nella Commedia, in partic. pp. 28-30 alla voce
cilestro). Per la def. si tiene conto di alcuni commenti (Sapegno, Bosco-Reggio, Pasquini-Quaglio, ecc.), che fanno rif. all'azzurrino, cioè a una sfumatura più chiara dell'azzurro (su cui cfr. Ricotta,
Il Libro dell'arte, p. 286).
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 27.09.2018.
Data ultima revisione: 30.06.2020.