Commedia |
scardova Inf. 29.83. |
Prima att. Dal lat. mediev.
scarda (DEI s.v.
scardova). Lo zoonimo ricorre nella
Commedia un'unica volta, nella similitudine comico-realistica che accosta le unghie degli alchimisti – afflitti da un'eterna lebbra e intenti a grattarsi via incessantemente le croste dal corpo – al
coltello (vd.) con cui il cuoco raschia le grosse squame della
scardova prima di cucinarla. Così precisa il termine e l'immagine Francesco da Buti: «fa similitudine che così l'unghie faceano cadere le croste della lebbra, come lo coltello, col quale si tolgono via le scaglie da' pesci, le fa cadere da quel pescie, che si chiama scardova che à molto grandi scaglie e squame». Il sost., che dopo Dante resta d'uso molto raro (vd. TLIO s.v.
scàrdova), «ingenera qualche perplessità nei copisti» (Petrocchi,
ad l.): accanto a forme patentemente erronee, tuttavia, la trad. manoscritta offre anche alcune alternative ammissibili benché non fior., come
scardona (Laur) o
scardina (Co). Fra gli antichi esegeti, il non tosc.
Guglielmo Maramauro legge
scardapa: «E dice: como scame di quelo pesce chiamato scardapa, o de altro pesce che l'abia più large» (
ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 29.09.2021.
Data ultima revisione: 01.11.2021.