Commedia |
pulcro Inf. 7.58 (:). |
Prima att.
Latinismo da
pulcher (DEI s.v.
pulcro). Nei lessici mediolat. l'agg. risulta propr. rif. all'aspetto della pelle («Pulcer ab specie cutis dictus, quod est pellis» Isidoro,
Etimol., X.203) e successivamente estesosi anche ad altri referenti, per lo più fisici («postea transiit hoc nomen in genus. Nam pulchritudo hominis aut in vultu est, [[...]] aut in capillis [[...]], aut in oculis...»
ibid.; cfr. anche Cecchini,
Uguccione, P 52, 11). Nel poema
pulcro compare un'unica volta, in rima (:
sepulcro :
appulcro), come attributo di
mondo: ai dannati del quarto cerchio è infatti negato per sempre il paradiso – cioè il mondo «nel quale è ogni belleza» (Boccaccio,
Esposizioni,
ad l.) – e, di conseguenza, la «vita eterna» (
Francesco da Buti,
ad l.). Dopo Dante e fuori del circuito esegetico della
Commedia, il cultismo resta di uso molto raro (cfr. TLIO s.v.
pulcro); i pochi ess. disponibili si rilevano in testi d'ambito relig. (talora con recupero della sequenza rimica
sepulcro : pulcro). Fra i volgarizzamenti trecenteschi, infine, l'agg. lat. è reso pressoché esclusivamente con il corrispettivo più familiare
bello (cfr.
Corpus CLaVo).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 13.04.2021.
Data ultima revisione: 11.06.2021.