Latinismo da
profanus (DELI 2 s.v.
profano). Un'att. coeva del termine (ma con probabile valore agg.) si rileva in
Cavalca, Ep. Eustochia, Cap. 7, p. 396.21: «né nel santuario di Dio ciascuno profano, e rio uomo possa leggiermente vedere» (cfr.
Corpus DiVo e
DiVo DB per la datazione ante 1308). La maggior parte dei commentatori antichi riporta concordemente il signif. letterario ed etimologico del vocabolo, da
procul a fano, presente nei lessici medievali (cfr. Cecchini,
Uguccione, F 48, 6; Isidoro,
Etimol., X.224), per es.:
Ottimo: «Viene a ddire scumunicati, o vero contro alla Chiesa, però che fano [sè] il tempio»;
Giovanni Boccaccio: «"Profano" propiamente si chiama quello luogo il quale alcuna volta fu sacro, poi è ridotto all'uso comune d'ogni uomo»;
Francesco da Buti, invece, chiosa con «miseri stolti». Un'interpretazione più orientata verso il signif. di 'misero' è proposta da Barbi,
Problemi, I, p. 265. Come annotano i commentatori più recenti, in Dante il vocabolo si specifica a indicare l'empio goloso, prob. sulla scorta di Ov.,
Met. VIII, 840 (in rif. alla insaziabilità di Erisìttone) e di una lettera tradizionalmente attribuita a san Paolo (
Hbr. 12,16) con rif. a Esaù. Anche la trad. esegetica della lettera paolina riporta una specificazione di
profanus come
gulosus, per es. Pietro Lombardo,
Collectanea, col. 505C: «Profanus dicitur, quia gastrimargus, id est ventris servus exstitit et gulosus». Per la stessa interpretazione in Tommaso D’Aquino e per le corrispondenze bibliche cfr. Peirone,
Parole, pp. 49-51. La dittologia «miseri e profani» è ripresa da
Boccaccio, Teseida, 2, 71.3 (e al sing. in
Amorosa Visione, 24.34) e dal rimatore napoletano
Landulfo di Lamberto, 195, p. 216.
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 23.12.2016.
Data ultima revisione: 07.05.2018.