Par. 17.13: pianta Fi Gv Vat - Ed. Crusca, pieta Ash Ham La Laur Mart Po Rb Triv Urb - Sanguineti.
Prima att. L’uso del termine, da ricondurre prob. al lat.
plautum ‘piatto, largo’ (DELI 2 s.v.
piota), è raro nei testi antichi. Una forma pl.
ploti, nell’accezione di ‘zolle di terra compatta (da costruzione)’, è doc. in area ven. (cfr. TLIO s.v.
piota) e in tal senso il termine resta vitale anche in seguito, in testi relativi all'edilizia o all'agricoltura (cfr. GDLI s.v., § 2). Nel valore dantesco di ‘pianta del piede’ di
Inf. 19.120, invece,
piota conosce una diffusione ridotta e per lo più circoscritta all’uso letterario (ivi, § 1; ma cfr. anche lat.
piota ‘suola’ o ‘ferro di cavallo’ att. in un doc. piac. del sec. XIV, in Sella, G
loss. lat. emil., p. 267). La scarsa doc. antica disponibile non consente di assegnare al termine una marca diatopica specifica: alla proposta di un’origine umbra avanzata da Parodi,
Lingua, p. 275, si oppone, oltre all’att. ven. cit., un’annotazione di Guido da Pisa che qualifica
spingare (vd.) e
piota come due «vocabula florentina» (
ad l.); cfr. Franceschini,
I volgari, p. 211. La disponibilità del sost. in quest’area, del resto, può essere confermata già da un doc. lat. di Firenze datato 1158 in cui è att. l’antrop. «Guidi Piote» (cfr. GDT, p. 496). A
Inf. 19.120, il valore semantico del termine in rif. alla grottesca danza del simoniaco Niccolò III (cfr. Castellani Pollidori,
«Spingare» - «Springare», p. 138), è ben recepito dai commentatori. Più problematico appare invece l’uso del termine come appellativo dell’avo Cacciaguida a
Par. 17.13, anche per la tormentata situazione testuale del passo (vd. oltre). Tra i commentatori che leggono
piota, si orientano verso una
transumptio vegetale l’
Ottimo e Andrea Lancia (cfr. rispettivamente: «Qui l’Autore [...] dice: O cara pianta mia, dalla quale io frondo» e «messer Cacciaguida, sua pianta e radice»). Ricorre all’immagine del piede come ‘fondamento della discendenza’, invece, la glossa di Pietro Alighieri (prima red.): «
o piota mea, idest planta pedis».
Varianti. Alla lez.
piota di
Par. 17.13, recata da buona parte della trad. tosc. (+ Mad), si oppongono
pieta, trasversale ai due rami, ma di facile genesi grafica, e
pianta. L’astratto
pieta, trasmesso, fra gli altri, sia da Urb sia da Triv, è accolto da Sanguineti; Lanza viceversa ritiene
piota «indubbia l
ectio difficilior, confortata dal pur errato
pieta» (ivi, p. 657) del proprio
codex optimus. Recentemente la lez. – nella forma
pïetà – ha trovato il sostegno di Spagnolo (
La tradizione della Comedìa (I), p. 81): «il pronipote si rivolge al trisavolo riconoscendo in lui la
pietas del padre verso il figlio, secondo il modello virgiliano citato all’inizio del loro incontro». Tra i commentatori, legge
pieta Iacomo della Lana («
O cara pieta, cioè anima beata»). Alcuni testimoni seriori, prob. a partire dalla stessa lez.
pieta, restituiscono
pietra (così anche
Francesco da Buti, richiamandosi all’invocazione di
Par. 15.85-86: «Ben supplico io a te, vivo topazio / che questa gioia prezïosa ingemmi»). Altrettanto dibattuta appare l’alternativa
pianta, avvalorata dagli altri appellativi vegetali di
Par. 15.88-89 («fronda mia» e «radice»), ma banalizzante sul piano lessicale (è «glossa su piota» per Inglese,
Per lo “stemma”, p. 58).
Pianta, con
piota in margine, è accolta dall’ed. Crusca.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 21.06.2017.
Data ultima revisione: 11.05.2018.