Prima att.
Latinismo da
parcus 'sobrio, moderato', a sua volta da
parcere 'risparmiare' (DELI 2 s.v.
parco 2; vd. anche TLL s.v.
parcus, 10.1, 341.16). L'attributo è impiegato due volte nel poema, sempre in rima (con
varco e
'ncarco nel
Purg.; con
barca e
arca nel
Par.). Nell'ultima cantica
parco assume una connotazione neg., essendo rif. alla
natura (vd.), cioè al temperamento, di Roberto d'Angiò: sovrano noto per l'eccessiva avarizia, benché le radici della sua casata fossero liberali (cfr.
Francesco da Buti: «nelle quali parole si comprende che l'uomo dè seguitare li costumi e la natura de' suoi antichi, unde addiviene che spesse volte et in tutti più uomini si truova lo contrario, come nel re Roberto che discese da larghi, et elli fu avaro»
ad l.). Per una discussione sulle fonti dantesche del passo, cfr. ED s.v.
parco. Dopo Dante il cultismo conta att. rare e isolate, e pressoché limitate all'ambito poetico, dov'è impiegato sempre in sede rimica: es. «Çà son condotto a tanto grave porto, / Che in verso me se trova ogni man parca» (Antonio da Tempo,
Rime, 54.4, p. 161). Diverse le occ. rilevabili nei versi petrarcheschi (ess.: «Al fin Teodosio di ben far non parco»
Trionfi,
T. Famae Ia.102, p. 314; «Amor, et vo' ben dirti, / disconvensi a signor l'esser sì parco»
Canzoniere, 207.62, p. 267; cfr.
Corpus OVI).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 31.10.2021.
Data ultima revisione: 18.12.2021.