Vocabolario Dantesco
opimo agg.
Commedia 2 (2 Par.).
Commedia opima Par. 18.33 (:); opimo Par. 30.111 (:).
Prima att. Latinismo da opimus (DELI 2 s.v. opimo). Al di fuori della Commedia e delle cit. dei suoi commentatori, il termine nel sec. XIV trova un uso raro: è utilizzato in alcuni volgarizzamenti liviani, ma solo in traduzione di spolia opima, e, in poesia, in Antonio da Ferrara (ed. Bellucci) e Dondi dall'Orologio, Rime (cfr. TLIO s.v. opimo). Dal Corpus CLaVo si desume che opimus veniva volgarizzato con aggettivi come grassoabbondevole o ricco (o con sost. da essi derivati). Dante, a Par. 30.111, utilizza l’agg. con rif. alla terra (come già accade anche nel latino classico): infatti, a essere opimo di «verde» e «fioretti» è un clivo (vd.) nella stagione primaverile. Inoltre, a Par. 18.33 l’agg., benché rif. a musa, è comunque utilizzato in chiusura di due terzine caratterizzate da un lessico che rinvia al mondo naturale e alla sua abbondanza (cfr. «albero», «fruttare» e «foglia» di Par. 18.29-30).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 03.10.2018.
Data ultima revisione: 03.12.2018.
1 [Con rif. alla terra:] ben provvisto, abbondante.
[1] Par. 30.111: E come clivo in acqua di suo imo / si specchia, quasi per vedersi addorno, / quando è nel verde e ne' fioretti opimo, / sì, soprastando al lume intorno intorno, / vidi specchiarsi in più di mille soglie / quanto di noi là su fatto ha ritorno.
1.1 [Con rif. a una musa:] ben fornito, ricco.
[1] Par. 18.33: In questa quinta soglia / de l'albero che vive de la cima / e frutta sempre e mai non perde foglia, / spiriti son beati, che giù, prima / che venissero al ciel, fuor di gran voce, / sì ch'ogne musa ne sarebbe opima.