mascella s.f.
Commedia |
mascella Inf. 28.94 (:); mascelle Inf. 12.78 (:), 32.107 (:). |
Dal lat.
maxilla (DELI 2 s.v.
mascella; cfr. anche Baglioni,
Esiti del nesso -ks-). Il termine è att. in volg. già dalla metà del sec. XIII, con una distribuzione geolinguistica piuttosto varia (vd.
Corpus OVI). In Dante,
mascella è impiegato soltanto nella prima cantica e sempre in posizione di rima. A
Inf. 32.107 (§
1.1) il sost. indica meton. i denti, ossia lo strumento con cui, nell'Antenora, "suonano" le bocche dei traditori politici («eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia / mettendo i denti in nota di cicogna» ivi, vv. 35-36; per tale immagine, vd. anche quanto detto s.v.
cicogna).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 23.02.2021.
Data ultima revisione: 19.03.2021.
1 [Anat.] Ciascuna delle due strutture ossee del cranio in cui sono ospitati i denti. Per
estens. parte inferiore del viso, mento.
[1] Inf. 12.78: Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: / Chirón prese uno strale, e con la cocca / fece la barba in dietro a le mascelle.
[2] Inf. 28.94: Allor puose la mano a la mascella / d'un suo compagno e la bocca li aperse, / gridando: «Questi è desso, e non favella.
[1] Inf. 32.107: quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca? / non ti basta sonar con le mascelle, / se tu non latri? qual diavol ti tocca?».