Vocabolario Dantesco
marra s.f.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia marra Inf. 15.96 (:).
Dal lat. marra (DELI 2 s.v.), il termine è att. in volg. già dalla fine del sec. XIII (vd. TLIO s.v. marra). Nel poema occorre una sola volta, in rima (: garra : arra), a chiusura della replica di Dante alla profezia di Brunetto. Come nota Chiavacci Leonardi, il termine «qui è usato come oggi si direbbe zappa, per indicare arnese di uso quotidiano del contadino» (ad l.). Per Boccaccio, il parallelismo agricolo – vd. anche villano – nasconde un rif. alla natura rozza delle «bestie fiesolane» (v. 73): «Queste parole dice per quello che ser Brunetto gli ha detto de' Fiesolani, che contro a lui deono adoperare, li quali qui discrive in persona di villani, cioè d'uomini non cittadini, ma di villa; e in quanto dice la sua marra, intende che essi Fiesolani, come piace loro, il lor malvagio essercizio adoperino, come il villano adopera la marra» (Id., Esposizioni, ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 23.02.2021.
Data ultima revisione: 19.03.2021.
1 [Agr.] Strumento agricolo per la lavorazione del terreno simile alla zappa, dotato di lama larga e corta.
[1] Inf. 15.96: Non è nuova a li orecchi miei tal arra: / però giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra».