Da
manco, di cui conserva ancora il rif. alla difettosità (DELI 2 s.v.
mànca). L'occ. di
Inf. 24.7 (
1) indica la privazione di un bene (
la roba, vd.) rispetto a un bisogno, che può essere sia una totale assenza sia una presenza non sufficiente. I commentatori interpretano il passo in entrambi i modi: ad es. Vellutello (
ad l.) spiega «non havendo, per esser oppresso dalla povertà, potuto far provision di strame», mentre Provenzal (
ad l.) chiosa «il contadinello di cui le provviste scarseggiano», e sulla stessa linea si colloca Mattalia (
ad l.) «fa difetto, scarseggia gravemente». Il sign.
1.1 indica il venir meno di qsa che in precedenza era presente: a
Purg. 17.33 a venir meno è il velo d'acqua che avvolge la bolla d'aria che si forma sott'acqua fino a quando non affiora in superficie; a
Par. 7.77 è invece uno dei tre 'doni' divini (immortalità, libertà, obbedienza al Creatore) a venire meno col peccato originale (cfr. Inglese
ad l.); infine a
Par. 33.142 vengono a mancare le forze alla facoltà immaginativa di Dante, che pure fino a quel momento «si era innalzata» (cfr. Inglese,
ad l.); a tal proposito Chiavacci Leonardi spiega che «l'espressione
mancò possa dice [...] due cose insieme: che egli non vide più, e che egli non ebbe più la possibilità di raccontare, ridire il veduto» (ma su questo aspetto vd.
possa). A
Purg. 17.54 (
2), invece, la facoltà visiva di Dante si rivela carente, impotente di fronte alla volontà di guardare l'angelo, dunque si tratta di una vera e propria inadeguatezza; in questo caso l'uso di
mancare è assol. Il verbo compare poi anche in
Conv. 1.5.6, col sign.
1 e in
Rime 6.5 e
Rime 13.11 col sign.
1.1 di 'venire meno'.
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.07.2019.
Data ultima revisione: 04.11.2019.