L'agg.
lucente (da
lucere, vd.), come anche
luce (vd.) e i suoi derivati, pur essendo att. nella
Commedia in tutte e tre le cantiche presenta un uso peculiare nel
Paradiso, in relaz. alla tematica della luce nel terzo regno oltremondano. L'unica att. nell'
Inferno è rif. a Beatrice (vd.
lucere, signif.
2), i cui occhi sono
lucenti (risplendono di luce divina) perché sono occhi che contemplano Dio (e in questo contesto sono resi ancor più lucenti per le lacrime); sin dalla
Vn, peraltro, l'agg.
lucente, tipico della lirica amorosa, è traslato da Dante nella sfera semantica spirituale. L'agg. nella seconda cantica si riferisce invece a una luminosità naturale: quella dei raggi del sole al tramonto («i raggi serotini e lucenti»,
Purg. 15.141) e quella dei vetri o metalli che, in una fornace, emettono luce (
Purg. 24.138). Nel
Paradiso l'agg. è sempre rif. alla luce divina (signif.
2), ai beati e alla luce che li avvolge (signif.
2.1), come in una veste luminosa: lo splendore che raggia dalle anime dei beati aumenta in intensità in misura proporzionale alla sfera paradisiaca in cui risiedono e dunque al grado di visione di Dio raggiunto da ciascuna di esse. L'atto di mandare bagliori (cfr. per es.
coruscare,
corusco e sfavillare) è il mezzo sensibile che nei beati esprime i sentimenti dell'animo; per la corrispondenza riso-luce, splendore esterno-interno, cfr. anche
Conv. 3.8.11 («E che è ridere se non una corruscazione della dilettazione dell'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro?»).
Lucente è sost. nell'occ. di
Par. 13.56, in figura etimologica con
luce (che qui è rif. al Figlio, per cui vd.
luce): «nel Credo, o Simbolo niceno-costantinopolitano, è detto del Figlio: "
lumen de lumine", così qui la
luce dal
lucente» (Chiavacci Leonardi,
ad l.).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.03.2020.
Data ultima revisione: 11.06.2021.