Vocabolario Dantesco
linguaggio s.m.
Commedia 3 (3 Inf.).
Altre opere1 (1 Fiore).
Commedia linguaggio Inf. 27.14 (:), 31.78, 31.80 (:).
Altre opere linguag[g]io Fiore 101.1 (:).
Gallicismo dal fr. antico langage 'modo di parlare' (dal sec. XII, cfr. FEW s.v. lingua, 5, 361a e 365a n. 16 e DELI 2 s.v.), il sost. è ben acclimatato in it. antico, con att. risalenti fin dal Duecento (cfr. TLIO s.v.). Ha signif. di 'lingua' in due occ. di Inf. 31, dove si riferisce, a Inf. 31.78, alla perdita dell'unità linguistica per l'umanità e al conseguente impiego di vari idiomi (cfr. Bellomo, Nota conclusiva), per effetto della confusio linguarum, derivata dall'edificazione della torre di Babele e dalla conseguente punizione divina per gli ideatori del progetto (per cui si ricorda Gn 11, 1-9: «Erat terra labii unius... confusum est labium universae terrae»). A Inf. 31.80 il vocabolo allude direttamente all'impossibilità per l'ideatore della torre, Nembrot, di intendere qualunque lingua e al tempo stesso di far intendere la sua. Quindi, complessivamente: «L'empio disegno (mal cóto [77] < cogitare) d'edificare una torre alta fino al cielo concepito da Nembrotto [77] (con -o paragogica) ha dissolto l'unità linguistica del genere umano (pur un linguaggio nel mondo non s'usa [78]); con un simile dannato non è possibile alcuna comunicazione poiché, come il suo linguaggio non è noto a nessuno, così a lui è ignota qualsiasi lingua» (Coluccia, Il mito di Babele, p. 87). Dante ne dà una personale spiegazione in De vulg. 1.7.7: «solis etenim in uno convenientibus actu eadem loquela remansit» (cfr. Inglese, ed. e comm., ad l. e Bellomo, pp. 494-495). Il passo è spesso genericamente inteso dagli antichi commentatori. Iacomo della Lana chiosa: «la iustisia de Deo lo punisse cença locutione intelligibele, che né a lui stesso è noto quel ch'el dixe, né altrui». A Inf. 27.14, il sost. è usato in senso trasl. a indicare il crepitio del fuoco, in cui si convertono le parole del dannato avvolto dalla fiamma, Guido da Montefeltro (Francesco da Buti: «nel modo del parlare che è propio al fuoco»; non così Benvenuto da Imola: «quia scilicet loquebatur italice, sed nondum intelligebatur»). Il vocabolo si trova anche in Fiore 101.1 con il valore di 'modo di esprimersi', rif. allo stile di una categoria sociale (vd. TLIO s.v. linguaggio, 2).
 
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 19.12.2021.
1 Lingua parlata da un individuo o da una comunità.
[1] Inf. 31.78: questi è Nembrotto per lo cui mal coto / pur un linguaggio nel mondo non s'usa. 
[2] Inf. 31.80: Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; / ché così è a lui ciascun linguaggio / come 'l suo ad altrui, ch'a nullo è noto». 
1.1 [Con rif. al fuoco:] crepitio, scoppiettio secco e ripetuto (estens.).
[1] Inf. 27.14: così, per non aver via né forame / dal principio nel foco, in suo linguaggio / si convertïan le parole grame.