Att. solo nella
Commedia e nei commentatori. Formazione verbale parasintetica su
Paradiso col pref.
in-, di prob.
conio dantesco.
Imparadisare ricorre una sola volta nella
Commedia, a
Par. 28.3, dove è rif. a Beatrice, colei che innalza la mente di Dante portandola nella gloria e nel gaudio del Paradiso. Il verbo fa parte del lessico dell'
ineffabile (vd.) che caratterizza il Paradiso e, in partic., del nutrito gruppo di neologismi col prefisso
in-, utilizzato in modo «seriale» (Contini,
Un'idea, p. 200) nella terza cantica (per cui vd. ad es. almeno
incielare e
indiare).
Imparadisare differisce tuttavia dagli altri neologismi costruiti secondo il medesimo meccanismo per due aspetti: non si trova in posizione di rima ed è transitivo, a differenza della maggior parte di questi verbi («riflessivi, o più esattamente medi, e cioè riferiti al soggetto, di cui perciò movimentano metaforicamente la descrizione ontologica, senza propriamente cadere nell'azione», Contini,
Il canto XXVIII del Paradiso, p. 15; cfr. anche Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», pp. 455-457). Il verbo è gen. chiosato in modo univoco dai commentatori (ma cfr. Vandelli
ad l., che glossa «esalta a gioie paradisiache» per cui vd. anche ED s.v.
imparadisare).
Francesco da Buti, ad es., spiega «
imparadisare è mettere in Paradiso; questo è verbo formato dall'autore allegoricamente, che la santa Scrittura è quella che mette in paradiso la sua mente, e di ciascuno che quella studia con divoto cuore».
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 11.12.2021.