Vocabolario Dantesco
fleto s.m.
Commedia 2 (2 Par.).
Commedia fleto Par. 16.136 (:), 27.45 (:).
Prima att. Latinismo da fletus (DEI s.v. fleto), presente anche nel Dante lat. (cfr. Ep. VI 179). Come nota Basile (in ED s.v. fleto), il vocabolo ricorre spesso nella Vulgata (cfr. Concordantiarum Ss. Scripturae, 298) «da cui, in via non troppo ipotetica, potrebbe essere giunto» a Dante. La parola, tuttavia, ha in séguito una scarsissima diffusione, limitata a testi poetici (cfr. TLIO s.v. fleto); la sua circolazione rimane modesta anche oltre il Trecento (cfr. GDLI s.v.). A conferma della rarità dell'uso dantesco, si rileva che nei volgarizzamenti dai classici (cfr. Corpus CLaVo) il fletus del testo di partenza viene sempre tradotto con il più comune pianto (vd.). In entrambe le occ. paradisiache, la scelta dantesca assume un chiaro intento retorico di antitesi in rima con l'agg. lieto (la stessa coppia rimica antitetica è, non a caso, replicata in Boccaccio, Filostrato, per cui cfr. TLIO s.v.). Per la definizione, si segnala la proposta di Inglese: «'pianto', quindi 'rovina'».
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 03.06.2017.
Data ultima revisione: 15.05.2018.
1 Pianto generato da profonda sofferenza (in contesto fig.).
[1] Par. 16.136: La casa di che nacque il vostro fleto, / per lo giusto disdegno che v'ha morti / e puose fine al vostro viver lieto...
[2] Par. 27.45: ma per acquisto d'esto viver lieto / e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano / sparser lo sangue dopo molto fleto.