Vocabolario Dantesco
alchìmia s.f.
Commedia 2 (2 Inf.).
Commedia alchìmia Inf. 29.119, 29.137 (:).
Dall'ar. al-kimiya attraverso il basso lat. alchimia, chimia (DELI 2 s.v. alchimia). Il sost. costituisce uno di quegli arabismi scientifici ben acclimatati nella lingua letteraria antica (prima att., nella forma alchima, in Bonagiunta Orbicciani; cfr. TLIO s.v. alchimia). L'accentazione alchìmia, richiesta in Inf. 29.119 dall'andamento ritmico del verso e in Inf. 29.137 dalla rima con scimia, trova conferme nelle att. più antiche del termine: oltre all'uso poetico (cfr. alchimia : scimia in Chiaro Davanzati; archimia : biastimia in Fazio degli Uberti), ne danno prova le riduzioni ad alchima, archima, nonché alcune formazioni derivative come alchimo, archimo 'alchimista' (cfr. TLIO s.v. archimo), att. peraltro in componimenti poetici d'ispirazione dantesca (cfr. Lorenzi Biondi, «Trentacinque anni intende c’avia», pp. 111-112; 115; 120). Sull'accentazione del sost. cfr. anche Calderone, «Alchìmia» sì, «Alchimìa» no; Cordié, Alchìmia.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 10.03.2016.
Data ultima revisione: 27.04.2018.
1 Arte di trasformare in oro i metalli vili.
[1] Inf. 29.119: Ma ne l'ultima bolgia de le diece / me per l'alchìmia che nel mondo usai / dannò Minòs, a cui fallar non lece».
[2] Inf. 29.137: sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio, / che falsai li metalli con l'alchìmia; / e te dee ricordar, se ben t'adocchio, / com' io fui di natura buona scimia».