Commedia |
feto Purg. 25.68 (:). |
Prima att.
Latinismo da
fetus (DELI 2 s.v.
feto). Il vocabolo, dopo l’uso dantesco, è att. nei commentatori (ad es. Iacomo della Lana, l’
Ottimo e
Francesco da Buti) e in alcuni volgarizzamenti (ad es.
Alberto della Piagentina, in cui
feto è prob. calco diretto da
fetus; vd. anche
Corpus OVI e Crusca (1) s.v.
feto). Nella maggior parte dei casi, invece, il lat.
fetus è tradotto come 'parto', 'figlio', 'germoglio' o 'pomo' (cfr.
Corpus CLaVo). Che
feto, nel contesto dantesco, alluda alla fase avanzata raggiunta dall'embrione nel proprio sviluppo prenatale è desumibile dal fatto che si fa rif. all'avvenuta formazione dell'organo più complesso, il cervello (cfr. anche Nardi,
Il canto XXV del «Purgatorio», p. 147: «"sì tosto come al feto | l'articular del cerebro è perfetto", cioè alla fine dello sviluppo embrionale»), dove è attiva «la virtù informativa già fatta anima vegetativa e quindi divenuta anima sensitiva» (
ibid.). La scelta del cultismo
feto da parte di Dante, specie in considerazione della dottrina esposta nel canto, è da collegare all’uso di
fetus da parte di Tommaso d'Aquino nella
Summa contra gentiles (ma per ulteriori approfondimenti si veda Rossi,
«Ma come d'animal divegna fante»).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 14.05.2019.
Data ultima revisione: 17.07.2019.