Dal
lat. fervor, propr. 'calore; bollore' (DELI 2 s.v.
fervere; cfr. anche Cecchini,
Uguccione, F 52, 4), il sost. è precocemente att. in it. antico anche con valori estens. e metaf. (cfr. TLIO s.v.
fervore). Nell'unica occ. del poema,
fervore indica figuratamente la frenetica attività degli accidiosi penitenti, i quali sembrano voler compensare la «tepidezza» messa in vita nel «ben far» (
Purg. 18.108) con un'operosità incessante, "ardente". A qualificare l'intensità di tale
fervore è poi l'aggettivo
aguto, che «sempre in Dante ha valore fortemente marcato, spesso duramente concreto, non privo talora di violenza» (Azzetta,
«Fervore aguto», p. 268). Il termine è più frequente nel
Conv., ove è impiegato sia con valore propr., con rif. al calore solare (ivi, 2.14.5), sia in senso fig., con rif. all'amore «di veritade e di virtude» (ivi, 3.3.12). È poi nell'espressione «fervore d'animo» (ivi, 3.11.16) e, ancora, in relazione alla branca più "calda" della filosofia, la metafisica (ivi, 3.11.17). Ha sempre valore fig. nell'uso lat. delle
Ep. («desiderii fervor», 7.2; «fervore devotionis», 8.1).
Risultano banalizzanti le lez.
furore, recata unicamente da Po, e
favore, più fortunata, trasmessa da Ash Eg (su rev. di
fervore) Fi Ga Ham La Lau Lo Parm Pr Ricc Tz Vat.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 17.10.2019.
Data ultima revisione: 04.11.2019.