Commedia |
eclissar Par. 25.119; eclissò Par. 10.60. |
Prima att. Da
eclissi (vd.). Il verbo conta alcune att. in mediolat., anche in sensi estens. e fig. (vd. Du Cange s.v.
eclipsare), mentre nell'it. antico resta, dopo Dante e fuori del circuito esegetico della
Commedia, di uso rarissimo (vd. TLIO s.v.
eclissare), per tornare in auge nel signif. astronomico con Galileo, senza comunque perdere le sue accezioni astratte (vd. GDLI s.v., §§ 4-6). Nel poema occorre due volte, sempre nell'ultima cantica: a
Par. 25.119
eclissare è impiegato nel suo valore propr. e tecnico in un parallelismo che avvicina lo sforzo visivo del pellegrino, che tenta di sostenere la luce accecante emessa da san Giovanni, a quello di un osservatore che si sforza di ammirare il fenomeno astr. A
Par. 10.60 il verbo assume invece il valore fig. di 'essere oscurato (da un'altra luce)', dunque 'essere dimenticato, svanire (dalla memoria)', come ben colgono i commentatori. Così per es. Benvenuto da Imola,
ad l.: «
e sì tutto 'l mio amor si mise in lui, scilicet Deum,
che Beatrice ecclissò, idest, eclipsata est, idest, nubilata in luce,
nell'obblio, idest, in oblivione, quasi dicat: recessit a memoria mea». Cfr. anche Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», pp. 246-247.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 31.05.2021.
Data ultima revisione: 22.07.2021.