Prima att.
Latinismo da
desistere (DELI 2 s.v.), verbo che si riscontra in Uguccione da Pisa con l’accezione di 'cessare' (cfr. Cecchini,
Uguccione, S 176, 5 «desisto, -is, deorsum a proposito sistere et cessare»; vd. anche per il lat. classico TLL s.v.
desisto, 5, 1, 730.82, e per altra documentazione mediolatina cfr. Viel, «
Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 63). Come si evince dal
Corpus CLaVo, i volgarizzatori trecenteschi non usano la voce dotta e di fronte al lat.
desistere si servono di diversi traducenti: oltre ai più numerosi
abbandonare,
cessare e
rimanere, anche i meno frequenti
lassare,
mancare,
rimuovere,
ritirarsi. Il verbo è stato variamente interpretato, a seconda del suo valore trans. o intrans., dai commentatori antichi e moderni (vd. ED s.v.
desistere). Nei primi commenti danteschi, infatti, si tende a interpretare il verbo intrans. con
seguire come sogg. (ad es. Benvenuto da Imola chiosa, sulla scia di Uguccione: «desista, idest, cesset» e
Francesco da Buti «si rimagna»,
ad l.). L’uso trans. del verbo emerge, invece, nei successivi commentatori, a partire da Daniello che considera
seguire ogg. e spiega il verbo con «lasciare» («gli convenia desister e lasciar di più seguir poetando»,
ad l.). A quest’ultima interpretazione si allineano molti dei commentatori moderni che intendono il pers.
io come sogg. sott. e
seguire o come ogg. dir. o come ogg. indir., ritenendo tale interpretazione più rispondente alla successiva proposizione comparativa che ha come sogg.
ciascun artista. Non così, recentemente, Chiavacci Leonardi e Inglese (
ad l.) che recuperano il valore intrans. e assumono
seguire come sogg. Dopo Dante, l’occ., oltre a circolare nell'ambito dei commentatori danteschi, è att. nelle
Cost. Egid. col signif. giuridico di 'recedere' (cfr. TLIO s.v.
desistere).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 31.01.2021.
Data ultima revisione: 19.03.2021.