Prima att. Il
latinismo – da
densus (DELI 2 s.v.
denso) – occorre per ben tre volte nel canto II del
Par., sempre in opposizione a
raro (vd.). La dittologia antonimica, funzionale a precisare il valore tecnico dei due termini, torna nel XXII della stessa cantica, con un evidente compito di richiamo al luogo precedente e alla complessa dissertazione scientifica ivi esposta. Da una ricerca condotta nel
Corpus CLaVo emerge che il lat.
densus è reso dai volgarizzatori trecenteschi per lo più con i traducenti
spesso,
fitto,
grosso. Il ricorso dantesco al cultismo
denso, pertanto, appare come una precisa scelta stilistica che intende corrispondere all’altezza dell’argomento sul piano lessicale, dando autorevolezza scientifica all’intera argomentazione. Infatti, mentre i suddetti corrispondenti volg. coprono uno spettro semantico molto più ampio, il latinismo
denso sembra possedere una marca scientifica e una specificità più spiccate (almeno a quest'altezza cronologica) che gli derivano direttamente dalle principali fonti di filosofia naturale del tempo (cfr. per es., con rif. alla teoria delle macchie lunari, Averroè,
De substantia orbis, II: «Et Luna videtur esse densa et obscura, et recipiens lumen ab alio, scilicet a sole», nonché i commenti aristotelici al
De coelo; sull’argomento resta essenziale il rif. a Nardi,
La dottrina delle macchie lunari, in Id.,
Saggi, pp. 3-39). Prob. proprio grazie all’uso dantesco, il termine è entrato nel nostro lessico di "alto uso" (cfr. GRADIT s.v.
denso), subendo un naturale depotenziamento della sua carica specialistica (cfr. Fanini,
Il lessico della fisica, pp. 19-25). Sul latinismo è ora fondamentale Burgassi-Guadagnini,
La tradizione delle parole, p. 116 e segg.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 22.02.2017.
Data ultima revisione: 02.05.2018.